spigoli di pietra contornano la conca stretta del petto
è il muro l'orizzonte
e mi sorregge malamente
pur essendo io
soltanto una nervatura di foglia nel calco del tempo
si aspetta l'alba nella frana
le grida
uccelli in migrazione dalle rifiorenze
ma non si lascia corrompere dall'aria
questa coda d'ombra sopravvissuta al salmastro
che ancora sonda gli scavi nel bianco d'ossa
dai meridiani divelti cadono serpi mormorando salmi
eppure c'è un transito di luce
ogni volta che dal ramo si stacca una stella
un'eco in fuga dal rigore della morte
è luogo in sospensione
per il canto crocifisso nella piaga del silenzio supremo
confusa di istanti e millenni
sarò l'orfana di tutti i possibili amori
in ginocchio alla memoria stuprata dagli spettri di mille aurore
e la neve
mi terrà tutt'una a patire il suo peso
sul fiato rovesciato
e braci di tetti infamarmi la voce
ma la commozione di contare notti allineate sui palmi
usurperà la via al furore del coltello nella vena
salva dalla vita ti troverò che ti sveli infine
vertigine fossile del vagito primigenio
dietro queste rovine di cielo dimenticate nei prati
dilagando da un seme gonfio d'oscuro presagio
e mi affaccerò
le palpebre riflesse nella tenebra
a calpestare in punta di piedi
la bellezza perfetta delle radici che trattengono il dolore.
Tutti i diritti riservati © Stefania Stravato
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