Wednesday, December 11, 2013

Irraggiungibile



nulla / sarà più come prima del tuo sguardo
sulla fronte

di coltello / tu
la lucentezza 
io / la ferita


perché poi sarebbe inutile
fare / disfare i tradimenti / le corde di rose alle caviglie

non avrò scampo / da questo duro amore
che versa il tuo nome in bocca / da ingoiare in silenzio

ancora ostinata a sanguinare
altre morti / e promesse


io / che sempre mi ammalo di mani fuggiasche
tra i seni / e non so smettere questa sorte di bandita
tra le dune
e la neve

malgrado mille soli / spenti sulla schiena
un'altra volta / in un'altra vita
resto a sfidarti
di irrinunciabile amore


tu guardami da qui
affronto nuda il mare aperto / e la notte.


Stefania Stravato  ©  Tutti i diritti riservati

Monday, December 2, 2013

Altro vento, altro tempo



Altro vento / altro tempo
passa
finisce di essere mia / di essere tua
quella vivenza delle vene
il grido alto che ero / il dolore che eri
a venire
altro è stato e non sarà
altro vento / altro tempo
di notturni e albe
ma non so smetterlo / ancora
quel canto lento / di mare
quando / resto sola
da certe notti di naufragi
tornano qui / i gabbiani
e torno anch'io / remota di ogni amore
che pur la sento / ogni giorno
più aspra / staccarsi dal corpo
la luce
ma per sorte / o per scelta
mi conduce / all'altezza di una via in verticale
densa di salmastro / e luna piena.


 Stefania Stravato  ©  Tutti i diritti riservati 

Friday, November 22, 2013

Il deserto nel sangue


Io ho scelto sempre vie che nessuno ha mai segnato nelle mappe.
Vie antiche, di flutti che a guardarle da qui, ti sembrano grovigli di serpi nere.
E non fa mai giorno su queste vie.
Sono dominio assoluto dell'oscurità.
Sono vie di briganti.
I briganti che tagliano la gola per pochi denari.
Così si dice. 
Ma che ne sapete voi dei briganti, voi che avete scelto le vie fiancheggiate di glicini e rose. Voi che avete scelto l'amore all'ombra dei tramonti nei giardini all'italiana.
Noi siamo nati lontano da qui, da un dio fanciullo con gli occhi di pece che ci allattò di sole e sabbia. 
Ma la sorte di un deserto è quella di estendersi all'infinito e così le dune ci spinsero a mare, di notte, finchè non trovammo una terra buona che custodisse radici di arancio.
E d'arancio profumava la pelle bruna di mio padre e di mio nonno e del padre di mio nonno. 
D'arancio porto il sigillo in mezzo al petto, io figlia di briganti.
Dei briganti che mi hanno dato il sangue e il coraggio della disperazione di prendere la via del mare quando cala la notte. 
Perché un deserto resta nel sangue e la sua sorte non cambia.
Un deserto non troverà mai quiete e fuggirà in eterno inseguito dai venti.

Stefania Stravato  ©  Tutti i diritti riservati 

Wednesday, October 16, 2013

Lo specchio



In ombra / sospesa
ogni cosa / per me
                         / per te
dicevamo dei falò
                         / ricordi?
saremmo fuggiti per le strade dritte a mare
già immemori / adesso
                         / e passo lento
ogni cosa è confine / per me
                         / per te 
ma non sapremo mai starci davvero
                         / noi / nella quiete di un tramonto
né come tradire / gentilmente 
                          / senza colpe
a raccontarci i segreti dei silenzi
accadessero
tutti quegli istanti di tenerezza acuta
sulla punta delle dita
da lasciarsi avvelenare la pelle
eppure erano miei / erano tuoi
                             / ricordi?
accadessero a sorpresa / tremasse forte
l'aria d'autunno
                          / non accadranno
                          / da stanotte a domani
                            così cado da sola in uno specchio
                           / ed è questo ormai
                             il mio prossimo inferno.


Stefania Stravato © Tutti i diritti riservati

Il dolore ancora stupito


16 Ottobre 1943 -


Nonostante la guerra e le leggi razziali, Roma conservava la sua bellezza unica e la luce rosata del crepuscolo d'ottobre, calava lentamente sulle colonne della Porta d'Ottavia.
Liliana e Gabriele si amavano come si amano i giovani di ogni tempo e di ogni paese, con la fede nel domani, che dà solo l'amore a vent'anni.
Gabriele quel pomeriggio le aveva regalato un garofano bianco, che lei aveva infilato tra le onde nero-blu dei suoi capelli, dietro l'orecchio.
Percorsero un tratto del Lungotevere de' Cenci e si infilarono furtivamente nell'androne del palazzetto di via Arenula, dove Liliana abitava con la sua famiglia, per un ultimo bacio prima di far ritorno alle loro abitazioni.
Li accolse la semioscurità, in cui si intravvedevano i profili delle foglie scure di aspidistra, che quel giorno sembrava avessero l'odore delle cose in disfacimento.
Liliana si strinse al petto di Gabriele che la baciò con un furore disperato che non c'era mai stato nelle loro effusioni, prima di allora.
''Liliana!'' tuonò la voce di suo padre nella tromba delle scale.
''...si ....babbo....sto salendo.......''
''...devo andare amore mio....''
''...Lili amore.....Liliana.....Lili mia.....''
''...domani....domani ....si, domani....verrò da te....amore....''
''Liliana!''
''..arrivo babbo....arrivo...''
Si staccarono con il cuore stretto in una gelida tenaglia di angoscia, che li paralizzò ancora un istante a fissarsi e a dirsi muti, tutto l'amore che non avevano ancora detto, vissuto.

Quella notte il Ghetto ebraico di Roma subì un feroce rastrellamento da parte delle SS di Kappler, addette alla ''Judenoperation'' e le porte delle abitazioni degli ebrei vennero sfondate con i calci dei fucili o divelte con spranghe di ferro, strappando al sonno intere famiglie; non venne fatta nessuna eccezione, né per persone malate o impedite, né per le donne in stato interessante, né per quelle che avevano ancora i bimbi al seno. Per nessuno.
Furono catturate 1259 persone, raccolte provvisoriamente in uno spiazzo che si trova nei pressi del teatro di Marcello e poi trasferite nel massiccio edificio del Collegio Militare in via della Lungara. Tra esse c'erano Liliana e i suoi familiari.
Era il 16 ottobre 1943.
La mattina del 18 ottobre a bordo dei grigi camion tedeschi saranno condotti alla Stazione Tiburtina, da cui inizierà il loro viaggio verso l'orrore ancora sconosciuto di Auschwitz- Birkenau, che raggiungeranno dopo sei giorni e sei notti di viaggio, ammassati come bestie senza bagaglio, senza assistenza, condannati alla promiscuità più offensiva, affamati e assetati.

Liliana avrebbe compiuto diciannove anni di lì a poco: non sopravvisse alla follia degli esperimenti del dottor Mengele, né sua sorella Maria, sedicenne; suo fratello Davide di otto anni, sua madre Ester e suo padre Elia, furono mandati a morire  nelle camere a gas dopo pochi giorni il loro arrivo ad Auschwitz.
Degli ebrei romani deportati in quell'occasione, sopravvissero solo in sedici, tra essi, una sola donna, che riuscì a salvarsi grazie alla pietà di un'infermiera.


Gabriele si salvò dalla deportazione aiutato da una famiglia non ebrea che riuscì a confonderlo tra i pazienti ricoverati all'ospedale Fatebenefratelli, sull'isola tiberina.
Dalla fine della guerra dedicò il resto della sua vita a cercare notizie di Liliana.
Nel 1987 ebbe la certezza che la sua Lili era morta seviziata dagli esperimenti di Mengele ad Auschwitz.


La fede nell'amore non potè nulla sulla pazzia che albergò le menti degli uomini.

Stefania Stravato © Tutti i diritti riservati

nota dell'autrice: i personaggi, pur con nomi diversi, sono stati realmente, tragicamente protagonisti
della deportazione degli ebrei del Ghetto di Roma, il 16 ottobre 1943.

Tuesday, October 15, 2013

Io non c'ero

Io non c'ero
non ho visto la speranza nei loro occhi
né la disperazione
la fame la sete
non ho visto la notte che li teneva stretti
nel vento di mare
a recitare preghiere ad un dio che li aveva già abbandonati

Io non c'ero
non ho sentito
le loro grida
il pianto

non li ho visti
non li ho sentiti
quando mi chiamavano per nome
quando mi chiedevano di non lasciarli morire

laggiù
dove la vita comincia
e finisce.

Dove tutti siamo morti
insieme a loro
nel buio e nel silenzio.


Stefania Stravato © Tutti i diritti riservati


Saturday, August 24, 2013

Le scarpette rosse



C'è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
"Schulze Monaco"
c'è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buchenwald
più in là c'è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald

servivano a far coperte per soldati
non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas
c'è un paio di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald

erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini
li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l'eternità
perchè i piedini dei bambini morti non crescono

c'è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald
quasi nuove
perchè i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.

Joyce Lussu

Thursday, May 23, 2013

Con i nomi



Verrò, ferita di tempesta e ruggine di gigli. 

Con i nomi 
che lasciammo ad ogni luogo, ti dirò dell'aria rarefatta

dove i silenzi sanno fare gli spazi che ti coprono le spalle nude 

e crepacci dove puoi morire sola.

Dentro gli occhi tu avrai resti di notti sulle vigne

io innocente 
le caviglie lussuriose

e vorrò andare 

smarrimenti e ritorni per quel tempo 
di monete e canti
di ninfee che non mi hai mai comprato

dunque è così che mi avrai.

Assaggiata dal male.
Che trasgredisco il mio corpo nel rosadalba
nell'ora in cui tutto è accaduto e può ancora accadere

l'altura trafitta d'improvviso
i confini capovolti nella luce. 

E le tue orme nelle vie del sangue 

sempre odore 
di tramontana e radici.

Tua sorte
ad innalzare la nebbia con dita di gitana 


Riversa, accoltellata d'argenti. 

Stefania Stravato © Tutti i diritti riservati

Wednesday, April 24, 2013

Confusa di istanti e millenni


Confusa di istanti e millenni. 

      Orfana 
      di ogni possibile amore.
 
In ginocchio. Stuprata da mille aurore
      mi terrà tutt'una la neve
 a patire il suo peso sul fiato rovesciato.
 
Ma la commozione di contare notti allineate sui palmi
usurperà la via al coltello nella vena.
 
Salva dalla vita
     ti troverò. Vertigine fossile del vagito.
 
Dietro queste rovine di cielo dimenticate nei prati
     gli occhi nella notte.
 
A calpestare
     la bellezza perfetta di radici che trattengono il dolore.

Stefania Stravato © Tutti i diritti riservati

Sunday, April 21, 2013

La luce lenta


quanta sorte da seppellire
prima di acqiuetarmi il fiato l'ultimo sorso sulla tua bocca

Mi sfiancherai ancora con un presagio di luna?
Preferirei tu mi uccidessi iniettandomi in vena il dolore di un violino.
Poi basterebbe solo la certezza di un respiro che torna da lontano per rimuovere ossa di gigli
di traverso nella gola.
E attraversarti
irredimibile peccato di questa luce lenta che cade in faccia al cielo

sospesa ad un'attesa.

Tirarmi il tuo silenzio addosso
che mi spoglia.

E tra le mani lame d'acqua incendiarmi i fianchi.

Stefania Stravato © Tutti i diritti riservati

Friday, April 19, 2013

L'arte di morire








Non ti racconterò mai la storia di questa brutta stagione
di sabbia attaccata alla carne
          di anemoni neri e inauditi.

          S'imbevono del mio sangue

perché il tempo non passa mai o passa troppo in fretta
e io resto sempre qui a pensare
come si fa ad infilarsi nel petto
una foresta di coralli.
E non so dirti
quali semi puoi piantare nell'acqua

nei miei solchi solo grani di sale 
        ho tenuto

agonie di delfini.

Come non mi hai mai vista peccherò di lussuria
svuotandomi l'anima di ogni più lontana notte.

In un giaciglio di alghe azzurre

che morire
          è un'arte
e non s'impara vivendo.

Stefania Stravato  Tutti i diritti riservati 

Thursday, April 18, 2013

E se taci



A chi somigli 
dimmi
se non a quest'ombra che sta distesa sulla mia schiena nuda
 
e nel sangue
mi sospinge il rosso d'azalee
 
Così 
amarti o prevederti
follia di un precipizio
o certezza di verdenuovo che mi sradichi a forza
dalla notte fonda
vertigine di ghiaccio
e mi sollevi
 
La via più turpe
sceglierai per amarmi
 
esplorandomi i fianchi al buio 
 
devierò le folgori negli occhi
per raggiungerti dove il petto si congiunge al silenzio
 
 
A mani nude taglierò la pietra che ci seppellisce la voce
e verrò a prenderti
 
Verrò prima dell'ultima sera
 
Tu tienimi
 
In un sonno che nessun vento ferisce.
Dove posso parlarti senza voce
e tingerti il dolore di mille baci
 
non ucciderti
non uccidermi con urla mute
 
e se taci
griderò io il respiro che resta
coprendoci le spalle di un cielo freddo e duro
che sfregia tutte le rose sparse nel sangue
 
sia feroce allora
stringerti alla carne
ed inchiodarti
in una ferita lunga di appartenenza.



Stefania Stravato ©  Tutti i diritti riservati



Monday, April 15, 2013

Un segreto macchiato di troppo vento


È questo odore di rose che si abbandonano alla notte
a sfinirmi di peccaminosa malinconia.

Sottopelle
a memoria un addio già vissuto.

Sapienza d'aurore
tra due sonni
o tra due fiumi.

E laggiù
conficcata nell'aria
la certezza di giorni che non saranno.

Ci fossimo alzati 
le labbra umide di baci.

Ci fossimo lanciati, amore
su quel diluvio di luce
nudi.

Non saremmo morti soli
la gola aperta dai silenzi

stringendo inutilmente al petto
un segreto macchiato di troppo vento.

Stefania Stravato ©  Tutti i diritti riservati

Saturday, April 13, 2013

Nient'altro che questo




Dalle caviglie agli occhi vidi il mio corpo bruciare.

Quell' istante di morte che non è mai finito.

Cardi arrossati
        li toccava appena il tramonto.


E tutto quello che restava tra le pietre
era il  mio sguardo lungo
        nella vita.

Così piansi i giardini di limoni
e il mare che mi portavo addosso

       le fughe invocate all'orizzonte.
Ogni possibile peccato che non avevo mai commesso.

Dovesse venirmi voglia di vivere ancora
       regalami
buche scoscese in un silenzio che sa di mare.

Nient'altro che questo.

E un ramo acceso
      per ricordarmi del rossocorallo.

Stefania Stravato  ©  Tutti i diritti riservati

Sollevami


Incendio sulle macerie di luoghi e stagioni, sollevami.
Che germini
di una luminanza nuova
in verticale
percorsa di vene.
Ma aspetta che pianga in segreto
deserti e lagune
e ogni peccato che non ha potuto salvarmi.
Bendata d'aurora (che ho già guardato con occhi lunghi
tutti i passaggi d' orizzonte)
nella tua bocca poi
a sorprendersi di mare la mia, ferita di conchiglie.

Stefania Stravato © Tutti i diritti riservati 

Friday, April 12, 2013

Da qui all'alba



viaggiando acqua di falda
       una rotta controvento

incautamente umida d'argenti
          ho vegliato la nuca di creature dissanguate
          dal deserto

dove iniziò il nervo a svelarsi radice?

         in quell'accadimento di presagio
sono caduta
         di primo mattino
         uccisa appena nata

         calando aquile di neve nei luoghi del petto

        eppure
        a distanza irrimediabile da ogni luce
resto viva
colma della conoscenza delle fioriture
        fuori stagione

        che a voce breve
per inganno ho bocca di salmastro
sommersa nel rossocorallo a memoria
di una cavità assolata

ma addosso
mi torna il profilo di palma
       quando solo ieri ero vertigine nel vento

se rilasci sottopelle
un mormorio
       e si insemina la vena 
       dell'accordo lungo d'onda
che la notte - è madre - non s'allontana

da qui all'alba
mi sorregge alle tempie.

Stefania Stravato ©  Tutti i dirittti riservati