Tuesday, December 30, 2014

Figlio



è un nulla inerte
adesso

solo ieri argilla
occhi scuri e quattro angoli di tempo

eppure
dove mai sarà silenzio
batte e ribatte
ancora nel mio sangue
la parola piena che sei.



Stefania Stravato © Tutti i diritti riservati



Tuesday, October 7, 2014

Un vecchio rubino spento

Se è vero che abbiamo un'anima, che ho un'anima, chissà di che sostanza è la mia adesso.
Proprio adesso che oscillo e le mie ossa fanno un rumore sordo sui muri bagnati di luce calda.
Mi sorprendo a non vedere sangue, perché le mie ferite sono tutte aperte, anche quelle che credevo guarite per sempre. Forse è di sale la mia anima, quel sapore aspro di mare che non ho mai perduto e che ritrovo in ogni luogo in cui mi nascondo, quando fuggo.
Quando fuggo e non ho risposte, non ho mani, non ho occhi, solo memoria di un autunno
che si riflette ancora, rosso nelle mie notti.
Ma senza luce, è solo un vecchio rubino spento.

Sunday, October 5, 2014

Tre donne, per caso e per amore


Io non sono una scrittrice, ma ho sempre creduto che le storie da raccontare si trovino da qualche parte, in attesa del tempo e del cuore giusto che le raccolga e le racconti.
Qualche giorno fa mi sono imbattuta in una di esse.
E provo a raccontarla con il mio cuore, sperando sia quello giusto.
Con la mia voce, legata a quella delle sue protagoniste.

E' una storia di donne. Di solitudine e fughe. Di lotte, affetto e dolore.
Quel dolore che le indurisce e malgrado ciò, talvolta permette loro di essere forti e vincere le loro oscure battaglie. 
E di quell'affetto che nasce non per caso, ma dalla comprensione piena delle sofferenze altrui.

Gabry l'ho conosciuta su Twitter con il nick La Malvagia: arrabbiata, spesso aggressiva. 
Sempre in lotta, una lotta che di fatto è una rabbiosa e sofferta protesta contro le ingiustizie, le discriminazioni.
Disincantata. A volte sola, attaccata dal branco, in cui non si riconosce. 
Fiera di questa sua aspra solitudine.
E' una donna del profondo sud, che ha lottato per le proprie scelte di vita, contro una mentalità ancora fortemente radicata che non perdona ad una donna, l'esercizio del libero arbitrio.
E il prezzo della sua lotta è oggi, una vita difficile: sola, con pochi mezzi, un figlio adulto disabile.
Poi poche sere fa, posta una foto su Twitter.
Una neonata.

Io commento con poche parole la mia commozione e lei mi racconta in privato di Sanaa, conosciuta per caso, laggiù dove sbarcano a migliaia, i disperati, sperando.
E' la prima volta che io e Gabry ci scriviamo: due storie diverse, la mia e la sua, si incontrano, ciascuna con il proprio carico di dolore.
E così mi ritrovo ad accogliere la storia di Gabry e di Sanaa, la giovanissima marocchina fuggita da un padre padrone e da una madre (vittima essa stessa di un retaggio culturale) che non può, non sa difenderla.
E' istinto materno forse, ma forse ancor di più, la conoscenza diretta dell'emarginazione, della durezza della vita, che lavora sull'emotività di Gabry: e il suo naturale slancio di solidarietà crea un ponte che con il passare dei mesi si concretizza in affetto autentico e reciproco aiuto, fatto di cura e attenzione. Ciascuna con le proprie possibilità, si fanno carico dei pesi dell'altra, rendendoli più sopportabili.

Di tutte le sue lotte, questa è quella che Gabry La Malvagia di certo ha vinto.

Quando Sanaa dà alla luce la sua bambina, vuole Gabry con sé.
E le dice: "Ora sei nonna".

Tre donne. Che per caso e per amore, hanno già vinto.
Contro i pregiudizi, la diffidenza, la paura del diverso.

A me, la fierezza di averle incontrate. 
Grazie.

Friday, March 28, 2014

Canzone per Alda Merini - Roberto Vecchioni


Noi qui dentro si vive in un lungo letargo,
si vive afferrandosi a qualunque sguardo,
contandosi i pezzi lasciati là fuori,
che sono i suoi lividi, che sono i miei fiori.
Io non scrivo più niente, mi legano i polsi,
ora l'unico tempo è nel tempo che colsi
qui dentro il dolore è un ospite usuale,
ma l'amore che manca è l' amore che fa male.
Ogni uomo della vita mia
era il verso di una poesia
perduto, straziato,
raccolto, abbracciato.
Ogni amore della vita mia
ogni amore della vita mia
è cielo e voragine,
è terra che mangio
per vivere ancora.
Dalla casa dei pazzi, da una nebbia lontana,
com'è dolce il ricordo di Dino Campana;
perché basta anche un niente per essere felici,
basta vivere come le cose che dici,
e di vederti in tutti gli amori che hai
per non perderti, perderti, perderti mai.
Cosa non si fa per vivere,
cosa non si fa per vivere,
guarda! Io sto vivendo.
Cosa mi è costato vivere?
Cosa l' ho pagato vivere?
Figli, colpi di vento...
La mia bocca vuole vivere!
La mia mano vuole vivere!
Ora, in questo momento!
Il mio corpo vuole vivere!
La mia vita vuole vivere!
Amo, ti amo, ti sento!
Ogni uomo della vita mia
era il verso di una poesia
buttata, stracciata,
raccolta, abbracciata.
Questo amore della vita mia,
ogni amore della vita mia,
è cielo e voragine,
è terra che mangio
per vivere ancora.

Thursday, March 27, 2014

Piove


Piove.
Piove da mille anni.
Come questa tristezza che cade, goccia a goccia e ancora non colma l'abisso.
E neppure tutti i gusci di conchiglia, sparsi qui a terra, in questa casa di stanze grandi, dove la luce sbatte sui muri e non riflette nient'altro che ombre sottili e nere.
Sarà così per sempre.
Per tutte le vite, da quelle passate a quelle a venire.
Restare con le braccia nude a tenermi stretto il cuore che si sgrana, 
guardando la notte attaccata ai vetri.
Piove.
In questa primavera già sepolta dai suoi prati fioriti.
Sta sottoterra, a ricomporsi con le ossa dell'inverno, con gli archi dei violini, con i miei occhi di ragazza, con una guerra persa, con un rimpianto imperdonabile. 
Con lo straccio di una bandiera rossa. 
Con il mio sangue che diventò nero sul pavimento di una cantina.
Con le vie fiancheggiate di ginestre, che scendevano a mare sotto la luna.
Io che sono nata d'inverno, sono la colpa di troppa nostalgia.
Piove.
Intorno e dentro e il silenzio è una fitta lunga e continua che segna la mappa delle vene.
Piove.
E sono arrivata fin qui, bambina uccisa troppe volte, piegando i giorni e le trappole degli dei, con il tuo nome nascosto a tremare sottopelle, come un segreto, 
come un peccato mai commesso.
Come un grido zittito dai passi di un'altra appartenenza.
Come la lama lucente di un coltello che oggi scelgo per morire.
Ma non volto le spalle, nemmeno adesso.
La guardo in faccia la morte che arriva, come allora.
Con la pioggia che cade negli occhi e diluisce il nero.
In silenzio.
Che di parole lei non sa che farsene.
E nemmeno io, nemmeno tu.


27 marzo 2014, piove.

Wednesday, January 1, 2014

Sei dunque tu


come non ci fosse un domani / mi guardi
mi lasci
andare / tornare
ferita / a sangue
di poesia / dalle albe
affidate al mare
in bocca il cuore / gli occhi lunghi
tra un arcobaleno / e la neve
perché mille lenti minuti dura / a volte
l'ardore triste / di un altro amore
sei dunque / tu / ciò che volevo
da prima di ogni non più
sentirti ai fianchi
una sillaba / il mio nome / tra le tue dita
e le stelle brevi / di dicembre
nessun attimo / di vero amore
deve andare perduto
sei dunque / tu
custode di baci ignoti / che pure mi sai
remota / altrove
ad aprirmi / di mille morsi gravi
e tra le labbra / già oscura
la delizia dell'addio / che saremo
poi / si morirà / appena un po'
di quel rosso / amaro
fermo in gola.

Stefania Stravato ©  Tutti i diritti riservati