Immense latitudini le mani
spostano schiuma d'onda
da un altro naufragio
(che si annunciò) nella fuga dei gabbiani
è ombra che sconfina la nube
un giro lento i passi lasciati alla sorte
poi un tumulto improvviso
il plenilunio addosso
di natura salmastra
lo lascerò morire senza cercare ancora di dargli un nome
da notte a notte è insostenibile la sua carne
che rivolta le zolle di sabbia nei fondali
e distorce la luminanza del faro
urla a sorpresa
l'idioma del deserto
tra l'inizio del fuoco e la voce dell'acqua
nella geografia di notti
colme di volti senza più memoria
così ci sorprendono gli dèi all'alba:
immemori
erranti tra gli scogli
sostenuti dall'azzurro di giugno
e si fugge
imperfetti
il ricco bagliore
in bocca la dura sostanza di una salina
qualunque cosa accada
perché non sia rimpianto
volgersi ad un mare che tace ogni sua onda
la sua eco si sparge
dalle ferite di martirii remoti
le sconfitte dissepolte dai venti
(che giacciono)
nelle buche dove si svuota ogni marea
dai silenzi delle donne
alte sugli scogli
che si immolano alle attese delle tempeste
una penombra negli occhi
attraversata dall'aspro di onde
che ci tenesse la schiena salda alla scogliera
senza temere
il richiamo dell'abisso
potremmo respingere a mani nude
il fuoco divino
bendarci l'aspro del dolore solo con le strida dei cormorani
in grembo a quale remota notte
già inabissata
a distanza irraggiungibile
il luogo delle labbra
colme di baci
germina il morbo nel sangue
e dilaga oscura
la marea
che si ravvolge ai passaggi del respiro
intanto sorgono dure radici al suo fondo
e non sapremo dove si annoderanno
se negli attimi sfuggenti d'acquamarina
o nelle rese sconfinate dell'oscurità.
Stefania Stravato © Tutti i diritti riservati