Wednesday, October 16, 2013

Lo specchio



In ombra / sospesa
ogni cosa / per me
                         / per te
dicevamo dei falò
                         / ricordi?
saremmo fuggiti per le strade dritte a mare
già immemori / adesso
                         / e passo lento
ogni cosa è confine / per me
                         / per te 
ma non sapremo mai starci davvero
                         / noi / nella quiete di un tramonto
né come tradire / gentilmente 
                          / senza colpe
a raccontarci i segreti dei silenzi
accadessero
tutti quegli istanti di tenerezza acuta
sulla punta delle dita
da lasciarsi avvelenare la pelle
eppure erano miei / erano tuoi
                             / ricordi?
accadessero a sorpresa / tremasse forte
l'aria d'autunno
                          / non accadranno
                          / da stanotte a domani
                            così cado da sola in uno specchio
                           / ed è questo ormai
                             il mio prossimo inferno.


Stefania Stravato © Tutti i diritti riservati

Il dolore ancora stupito


16 Ottobre 1943 -


Nonostante la guerra e le leggi razziali, Roma conservava la sua bellezza unica e la luce rosata del crepuscolo d'ottobre, calava lentamente sulle colonne della Porta d'Ottavia.
Liliana e Gabriele si amavano come si amano i giovani di ogni tempo e di ogni paese, con la fede nel domani, che dà solo l'amore a vent'anni.
Gabriele quel pomeriggio le aveva regalato un garofano bianco, che lei aveva infilato tra le onde nero-blu dei suoi capelli, dietro l'orecchio.
Percorsero un tratto del Lungotevere de' Cenci e si infilarono furtivamente nell'androne del palazzetto di via Arenula, dove Liliana abitava con la sua famiglia, per un ultimo bacio prima di far ritorno alle loro abitazioni.
Li accolse la semioscurità, in cui si intravvedevano i profili delle foglie scure di aspidistra, che quel giorno sembrava avessero l'odore delle cose in disfacimento.
Liliana si strinse al petto di Gabriele che la baciò con un furore disperato che non c'era mai stato nelle loro effusioni, prima di allora.
''Liliana!'' tuonò la voce di suo padre nella tromba delle scale.
''...si ....babbo....sto salendo.......''
''...devo andare amore mio....''
''...Lili amore.....Liliana.....Lili mia.....''
''...domani....domani ....si, domani....verrò da te....amore....''
''Liliana!''
''..arrivo babbo....arrivo...''
Si staccarono con il cuore stretto in una gelida tenaglia di angoscia, che li paralizzò ancora un istante a fissarsi e a dirsi muti, tutto l'amore che non avevano ancora detto, vissuto.

Quella notte il Ghetto ebraico di Roma subì un feroce rastrellamento da parte delle SS di Kappler, addette alla ''Judenoperation'' e le porte delle abitazioni degli ebrei vennero sfondate con i calci dei fucili o divelte con spranghe di ferro, strappando al sonno intere famiglie; non venne fatta nessuna eccezione, né per persone malate o impedite, né per le donne in stato interessante, né per quelle che avevano ancora i bimbi al seno. Per nessuno.
Furono catturate 1259 persone, raccolte provvisoriamente in uno spiazzo che si trova nei pressi del teatro di Marcello e poi trasferite nel massiccio edificio del Collegio Militare in via della Lungara. Tra esse c'erano Liliana e i suoi familiari.
Era il 16 ottobre 1943.
La mattina del 18 ottobre a bordo dei grigi camion tedeschi saranno condotti alla Stazione Tiburtina, da cui inizierà il loro viaggio verso l'orrore ancora sconosciuto di Auschwitz- Birkenau, che raggiungeranno dopo sei giorni e sei notti di viaggio, ammassati come bestie senza bagaglio, senza assistenza, condannati alla promiscuità più offensiva, affamati e assetati.

Liliana avrebbe compiuto diciannove anni di lì a poco: non sopravvisse alla follia degli esperimenti del dottor Mengele, né sua sorella Maria, sedicenne; suo fratello Davide di otto anni, sua madre Ester e suo padre Elia, furono mandati a morire  nelle camere a gas dopo pochi giorni il loro arrivo ad Auschwitz.
Degli ebrei romani deportati in quell'occasione, sopravvissero solo in sedici, tra essi, una sola donna, che riuscì a salvarsi grazie alla pietà di un'infermiera.


Gabriele si salvò dalla deportazione aiutato da una famiglia non ebrea che riuscì a confonderlo tra i pazienti ricoverati all'ospedale Fatebenefratelli, sull'isola tiberina.
Dalla fine della guerra dedicò il resto della sua vita a cercare notizie di Liliana.
Nel 1987 ebbe la certezza che la sua Lili era morta seviziata dagli esperimenti di Mengele ad Auschwitz.


La fede nell'amore non potè nulla sulla pazzia che albergò le menti degli uomini.

Stefania Stravato © Tutti i diritti riservati

nota dell'autrice: i personaggi, pur con nomi diversi, sono stati realmente, tragicamente protagonisti
della deportazione degli ebrei del Ghetto di Roma, il 16 ottobre 1943.

Tuesday, October 15, 2013

Io non c'ero

Io non c'ero
non ho visto la speranza nei loro occhi
né la disperazione
la fame la sete
non ho visto la notte che li teneva stretti
nel vento di mare
a recitare preghiere ad un dio che li aveva già abbandonati

Io non c'ero
non ho sentito
le loro grida
il pianto

non li ho visti
non li ho sentiti
quando mi chiamavano per nome
quando mi chiedevano di non lasciarli morire

laggiù
dove la vita comincia
e finisce.

Dove tutti siamo morti
insieme a loro
nel buio e nel silenzio.


Stefania Stravato © Tutti i diritti riservati